La Goalodicy
La goalodicy è una condizione in cui l’ossessione per un obiettivo porta l’individuo a ignorare il proprio contesto. Il termine, coniato da D. Christopher Kayes della Washington University, nasce dalla fusione delle parole inglesi goal (obiettivo) e theodicy (dal greco “giustizia divina”). Un termine analogo è goal blindness, che possiamo tradurre come cecità da obiettivo.
La Disgrazia dell’Everest
Nel maggio 1996, 34 arrampicatori si misero alla conquista del Monte Everest, la vetta più alta del pianeta. I team si prepararono al Campo IV a 7900 metri d’altitudine, l’ultima tappa prima della cima a 8848 metri.
Gli ultimi metri verticali sono i più difficili: la zona della morte. Qui le condizioni climatiche possono cambiare all’improvviso e le bombole d’ossigeno sono limitate. Un imprevisto può fare la differenza tra vita e morte; coordinazione e lavoro di squadra diventano quindi fondamentali.
Il 26 maggio i team neozelandesi e americani partirono per l’ultima scalata. A sorpresa partì anche il team taiwanese, probabilmente per un malinteso o un conflitto. Si creò un ingorgo all’Hillary Step, un salto di roccia di circa 10 metri, che provocò due ore di ritardo, superando il punto di non ritorno per l’ossigeno.
Gli scalatori raggiunsero la cima, ma al rientro furono colti da una tempesta improvvisa. Indeboliti e in condizioni proibitive, non riuscirono a scendere né a ricevere soccorso: otto persone morirono quel giorno.
La vicenda è raccontata nel libro di Jon Krakauer Aria Sottile e nel film Everest (2015).
L’Insegnamento
Secondo l’analisi del prof. Kayes, la passione nel perseguire un obiettivo può trasformarsi in ossessione e condurre al disastro, diventando un vero e proprio obiettivo distruttivo. Mentre la passione è caratterizzata dalla consapevolezza del contesto e finalizzata al piacere del fare, l’ossessione è cieca.
Fattori che possono favorire la goalodicy:
- Obiettivi limitanti: scalare l’Everest senza preoccuparsi del rientro;
- Aspettative sociali: la pressione del gruppo;
- Idealizzazione: romanticizzare o ricercare identità nel successo;
- Stress: prevalere dell’emozione sul pensiero razionale;
- Leadership: accettazione acritica delle decisioni altrui.
Nella Vita e Nel Lavoro
Negli ultimi anni si è diffusa la pratica del goal setting, nata per supportare la pianificazione e il raggiungimento di obiettivi. Potremmo definirla una reinterpretazione del project management applicata all’individuo.
In questi studi spesso la componente psicologica viene trascurata, portando a obiettivi mal concepiti e disallineati con il più ampio miglioramento della vita. Ciò può causare demotivazione o conseguenze più gravi, come insegna l’Everest.
Diventa quindi fondamentale introdurre e ripetere una fase di introspezione sull’obiettivo finale e accettare l’incertezza, comprendendo che la crescita si trova nella capacità di adattamento.
In Conclusione
Prima di stabilire un obiettivo, è bene valutarlo attentamente: questo è il primo scudo contro obiettivi mal concepiti o dannosi.
Un metodo utile è il criterio SMART. Gli obiettivi che non rispettano questi criteri vanno scartati o riformulati. SMART è acronimo di:
- Specific: focalizzato su un aspetto specifico
- Measurable: quantificabile in esecuzione e progresso
- Assignable: assegnabile
- Realistic: realistico, considerate le risorse disponibili
- Time-related: con scadenza temporale
Approfittiamo della fantasia e della creatività nei momenti di introspezione. Cerchiamo costantemente le nostre priorità e manteniamoci razionali nell’impostare obiettivi utili e coerenti.
Ma soprattutto: coltiviamo coscienza e autoesame per evitare il rischio della goalodicy.